Pochi giorni or sono, sul nostro canale YouTube, è stata pubblicata un’intervista durante cui  Maura Maffei, autrice di numerosi romanzi editi per la nostra casa editrice, si è raccontata attraverso di essi.

Oggi si è prestata per realizzare un’intervista dedicata all’ultimo arrivato in casa editrice: PRIMAVERA D’IRLANDA.

In questo tuo ultimo romanzo, la storia che narri prende spunto dalla leggenda e dai fatti realmente accaduti attorno alla nascita spirituale di una figura fondamentale per la chiesa d’Irlanda: San Patrizio. Da dove è arrivata l’ispirazione che ti ha guidato nella stesura del romanzo?

Da anni desideravo raccontare, attraverso a un romanzo il più possibile avvincente, la storia dell’evangelizzazione dell’Irlanda mediante la figura unica del vescovo Pádraig, uomo di grande intelligenza, che comprese la mentalità degli irlandesi e, accettando ciò che di buono e condivisibile c’era nella cultura preesistente, vi innestò sopra il Vangelo di Cristo. Senza creare martiri, perché il suo motto era quello di predicare con il sorriso: “Mostriamo agli altri come noi cristiani siamo felici, così tutti vorranno imitarci”. Il mio problema, all’inizio, è stato proprio quello di inquadrare il personaggio di Patrizio: desideravo spogliarlo di tutto ciò che è folcloristico e leggendario. In altre parole, non volevo il Santo con la birra in mano che, purtroppo, oggi si celebra nel Saint Patrick’s Day. Il mio obbiettivo era ricostruirne la figura storica e spero di esserci riuscita nel modo più rigoroso possibile attraverso ai suoi scritti: due lunghe lettere redatte in latino sono infatti considerate autentiche – la Confessio e l’Epistola ad milites Corotici – e mostrano chiaramente il carattere e i valori di quest’uomo straordinario, a cavallo tra epoca romana ed epoca medioevale. Non solo, nei dialoghi, quando faccio esprimere direttamente il personaggio di Pádraig, uso frasi estrapolate dai suoi scritti e adattate alla situazione narrata.

Da cosa ti sei lasciata ispirare per la caratterizzazione dei personaggi principali di questa tua ultima fatica?

Oltre al personaggio del vescovo Pádraig, che non è comunque il protagonista, ho voluto ritrarre personaggi molto giovani che, in un certo senso, incarnino la “primavera” inserita nel titolo, che indichino al lettore il cambiamento in atto per l’intera civiltà. In questo modo il lettore incontrerà due coppie di giovani: Órlaith e Ruairí, che irradiano gioventù con la purezza della loro presenza, con la loro voglia di novità, e Gráinne e Fionn che, al contrario, sono scolpiti nelle tenebre del passato. L’idea di fondo è che, comunque, nessuno sia lasciato indietro.

Chi di questi senti più “tuo”?

Sicuramente Ruairí. Anzi, posso affermare senza incertezza che Ruairí è il personaggio che mi assomiglia di più fra tutti quelli che ho creato in 28 anni di carriera. Come me, ha il cuore frammisto di gemma e di gesso. La gemma dei grandi ideali e delle grandi aspirazioni e il gesso della mia fragilità, del mio sentirmi spesso inadeguata riguardo al cammino e alla meta. Gli ho donato, come non ho fatto con alcuno fra gli altri miei personaggi, il mio slancio spirituale e la mia pochezza di essere umano. Nel romanzo, le sue riflessioni, le sue difficoltà e gli slanci di splendore che pian piano accoglie sono i miei moti dell’anima che, con assoluta sincerità, mostro ai miei lettori. Ruairí è ciò che sono e ciò che, alla fine, vorrei essere.

Al centro della narrazione c’è la figura di San Patrizio, patrono d’Irlanda. Vorresti accennare ai nostri lettori qualcosa circa la tradizione legata al santo?

La storia di Patrizio è quella di una singolare vendetta. Per prima cosa, desidero sottolineare che non era irlandese: era un britanno – oggi diremmo che era un inglese! – figlio di un funzionario dell’Impero Romano in disgregazione. Siamo, infatti a cavallo tra il IV e il V secolo. Giovane piuttosto dissoluto, si era macchiato persino di un omicidio, ferendo a morte probabilmente uno schiavo. A sedici anni, fu rapito in una razzia dai pirati irlandesi, che erano una vera piaga in quegli anni, e portato a sua volta come schiavo in Irlanda. Per 8 anni, in piena solitudine, dovette sorvegliare il gregge del suo padrone e, tra le pecore, sotto le stelle del cielo, maturò una profonda conversione cristiana. Riuscì a fuggire, secondo lui in maniera miracolosa, e a tornare a casa, dalla sua famiglia che lo attendeva a braccia aperte. Ma non volle fermarsi. Sentiva ormai di avere la vocazione alla vita religiosa e decise di trasferirsi nelle Gallie per studiare e per diventare sacerdote. Da sacerdote, la sua vendetta sarebbe stata quella di tornare in Irlanda per convertire all’amore di Cristo coloro che lo avevano tenuto in catene. E il papa ce lo mandò addirittura da vescovo! Questa parte non c’è nel mio romanzo, se non riassunta in brevi battute, perché il mio desiderio era quello di descrivere il vescovo Pádraig, ormai anziano, in relazione con il giovane protagonista Ruairí.

Senza rubare troppo alla prefazione realizzata da Sara Valentino per accompagnare i lettori nella vicenda storica a contorno della narrazione, vorresti tuttavia collocare storicamente la vicenda?

Ho anticipato prima che Patrizio si colloca storicamente tra il IV e il V secolo. In Primavera d’Irlanda ho scelto di inserirlo come personaggio anziano, nel V secolo, in un momento delicato, quando le tribù irlandesi sono in parte già cristiane e in parte ancora pagane. L’equilibrio è molto fragile e basterebbe poco per spazzare via con una folata di bufera i frutti dell’evangelizzazione del Santo. Per esemplificare ciò che avvenne effettivamente allora, ho scelto di rappresentarlo con due singole tribù irlandesi, inventante ma collocate storicamente nel contesto sociale del V secolo, con i suoi usi e costumi, con le sue tradizioni profondamente radicate nella mentalità del tempo. In senso metaforico, a queste tribù ho dato il nome di Fómhar, che significa “autunno” e di Earrach, che significa invece “primavera”.

Trattandosi di un romanzo storico, per una ricostruzione rispettosa della Storia, avrai avuto la necessità di compiere delle ricerche in merito. Come hai agito per raccogliere i dati necessari?

Occupandomi da 40 anni esatti di Irlanda, ho la casa stipata di saggi storici, pubblicati in varie lingue (inglese, irlandese, italiano e persino francese!) che la riguardano. Per questo romanzo in particolare, ho scelto fonti che descrivessero la sua società, con le sue peculiari caratteristiche in epoca antica e medioevale, che si protrassero sino all’età moderna. L’Irlanda non fu mai feudale: con l’invasione anglonormanna si tentò di renderla tale, ma l’Isola di Smeraldo per quasi un millennio si avvalse dell’unità sociale e territoriale della tribù, che in lingua irlandese si traduce come “tuath”. Nata in epoca ancora nomade, la tuath venne presto a indicare la zona in cui si era insediato un gruppo di famiglie che riconoscevano di avere un antenato in comune. Ecco, nel mio romanzo ce l’ho messa tutta per ricostruire le relazioni interpersonali così come vigevano nelle tribù. E spero tanto che questo approfondimento storico possa interessare ai miei lettori.

In tutti i tuoi romanzi la religione cristiana viene a galla e scompare come un fiume carsico, ma in questa tua ultima opera, per ovvie ragioni di trama, essa permea l’intera vicenda. Come hai vissuto questo legame tra spirituale e materiale durante le ore dedicate alla scrittura?

Smetterei di scrivere, se non potessi meravigliarmi ogni volta della potenza del rapporto che lega la creatura, ogni creatura, al suo Creatore. Il Dio cristiano che tende la mano ai suoi figli in difficoltà, che non li lascia precipitare nel vuoto, che li accoglie e che li attende sempre, dopo ogni fallimento, con amore infinito, che torna a morire in croce con loro, senza mai lasciarli soli, se guerre e persecuzioni li condannano a una prematura fine, ebbene questo Dio innamorato alla follia delle sue creature è, in fondo, il personaggio principale di ogni mio romanzo.

Osservando l’immagine di copertina, che ricordiamo essere il quadro realizzato da Dante Gabriel Rossetti nel 1880 intitolato The Day Dream, è possibile cogliere senza difficoltà una prevalenza del colore verde notoriamente associato all’Isola di Smeraldo. È nato prima il titolo del romanzo, Primavera d’Irlanda, o ti sei lasciata affascinare dal quadro che, a sua volta, ti ha ispirato?

Primavera d’Irlanda è un titolo nato poco prima che il romanzo andasse in stampa, sebbene sia attualmente il mio preferito fra tutti i titoli dei miei romanzi pubblicati. Anche perché, per la prima volta, ho scelto di inserire la parola “Irlanda” in uno di essi. La prima stesura di questo romanzo, poi ampliata e rimaneggiata, risale a circa vent’anni fa. Allora lo avevo intitolato Seamróg, che in irlandese vuol dire “trifoglio”, dato che Patrizio spiegò al popolo il mistero della Trinità avvalendosi appunto di una foglia di trifoglio, diventato l’emblema stesso dell’Irlanda. Poi, focalizzandomi di più sulla figura del protagonista Ruairí, avevo anche pensato d’intitolarlo Guerra di gemma e di gesso. Ma il titolo definitivo di Primavera d’Irlanda è senz’altro quello che meglio rappresenta la storia narrata. Quanto alla copertina, non appena ho visto il quadro di Rossetti, ho capito subito che era quello adatto e Laura Calza è stata bravissima a trasformarlo nell’immagine di primavera che rende accattivante il mio libro.

Come accade per tutta la tua produzione, al termine del romanzo hai inserito un apparato di note e una breve parentesi dedicata alla lingua irlandese; da dove nasce questa tua esigenza di far conoscere ai lettori la lingua gaelica e, di conseguenza, quale origine ha il tuo amore per l’Irlanda?

Sono convinta che non si possa conoscere la cultura di un popolo se non attraverso lo studio della sua lingua. La Repubblica d’Irlanda è bilingue, dato che ha come lingue ufficiali sia l’inglese sia l’irlandese. Ma l’inglese, sicuramente oggi assai più diffuso, è stata una lingua imposta nei secoli, anche con leggi vessatorie e inique. Solo l’irlandese è una lingua autoctona, sebbene sia meno diffusa perché assai difficile. Io lo studio quotidianamente da circa un quarto di secolo ma ancora adesso faccio fatica ad affermare che parlo e che conosco questa lingua… Brevi frasi in irlandese sono presenti in tuti i miei romanzi: già dal contesto si capisce con un inciso o con una ripetizione che cosa significano, per non spezzare l’illusione narrativa in cui è immerso il lettore, che deve godersi la storia, e per non costringerlo ad andare in fondo a leggere le note. A maggior ragione, l’irlandese è presente in Primavera d’Irlanda, ambientato in un’epoca in cui si parlava solo questa lingua e non l’inglese. Purtroppo, a volte si leggono romanzi storici più o meno coevi in cui i nomi dei personaggi, ad esempio, sono in lingua inglese, e questo non è storicamente plausibile. Quanto al mio amore per l’Irlanda, è nato esattamente 40 anni fa, nella primavera del 1981, per lo shock che subii, poco più che bambina, per la vicenda di Bobby Sands e della sua morte in carcere in seguito allo sciopero della fame. Dal 5 maggio 1981, io ho iniziato a studiare la storia irlandese per capire ciò che era successo a questo giovane di Belfast. E da allora non ho più smesso!

Sit finis libri, non finis quaerendi. Con queste parole termini un romanzo dal finale aperto su un futuro splendente e ricco di nuovi avvenimenti. Ci sarà un seguito a questa vicenda oppure è compito del lettore immaginare gli avvenimenti futuri?

Dal 1993, anno in cui pubblicai il mio primo romanzo Il traditore, per i tipi di Marna, uso quest’espressione latina per chiudere ogni mio romanzo, al posto della parola fine. Del resto, così concludevano le loro opere i grandi autori classici latini. Per me ha un significato particolare: è come se dicessi al lettore che io gli ho narrato una vicenda che spero gli abbia lasciato uno spunto di riflessione, perché il passato è metafora del presente. Se la mia narrazione gli ha suscitato domande cui dare risposta, spero con tutto il cuore che continui a indagare le ragioni profonde sottese a ogni storia.

Quali sono i romanzi su cui stai lavorando in questo momento? Ti chiedo giusto di fare qualche accenno, se puoi.

Alla fine del 2019, sempre con Parallelo45 Edizioni, ho pubblicato un romanzo cui tengo moltissimo, ossia Quel che abisso tace. Ci tengo moltissimo perché narra al lettore la tragedia dell’Arandora Star, transatlantico affondato il 2 luglio 1940 al largo delle coste irlandesi: annegarono 805 persone, tra cui 446 internati civili italiani che venivano portati in un campo di prigionia in Canada e che non giunsero mai a destinazione. In questo caso, io non sono solo una romanziera storica, che racconta un fatto tragico del passato, ma sono anche parente stretta di una delle vittime, ed è per questo che ci tengo doppiamente. Al punto che sto scrivendo un secondo romanzo sull’Arandora Star: non un sequel, ma una sorta di racconto “a dittico”, con altri protagonisti e una storia avvincente per il lettore e per descrivere altri aspetti di questo fatto purtroppo dimenticato della Seconda Guerra Mondiale. Spero di finirlo a breve, affinché venga già pubblicato da Parallelo45 Edizioni nel 2022.

 

L’universo intero sarebbe naufragato in un vagito.

L’immensità della volta celeste precipitava sulla terra in costante fulgore, sul far della sera. Eppure, persino l’assordante silenzio di ogni respiro sarebbe mutato prima che tornasse a risorgere l’alba.

Il canto funebre della civiltà, quale era sempre stata concepita ai confini del mondo, spirava nell’aria senza suono, senza arrendersi.

Ma il risveglio non avrebbe più accettato il colore di una primavera trascorsa. Non avrebbe più mosso i passi sulle orme degli avi.

I fiori, forse, avrebbero conservato il profumo per inerzia, anche quando fossero sbocciati nelle doglie della rinascita che le tenebre incombenti vaticinano.

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Maura Maffei, ligure di nascita e piemontese d’adozione, è erborista, soprano lirico, impegnata nel volontariato e, soprattutto, profonda conoscitrice della storia e della cultura irlandese. Tra il 2001 e il 2007 ha firmato oltre 200 articoli monografici per il mensile Keltika. È autrice di numerosi libri: Il traditore (Marna, 1993), Le lenticchie di Esaù (Marna, 2003), La lunga strada per Genova (Marna, 2007), Feuilleton (Edizioni della Goccia, 2015), Anna che custodì il giovane mago (Edizioni della Goccia, 2017) e Le grandi acque (Edizioni della Goccia, 2018). Nel 1999 ha pubblicato per i tipi della prestigiosa casa editrice Coiscéim di Dublino un romanzo in gaelico d’Irlanda, intitolato An Fealltóir.
Ha inoltre pubblicato in ebook il romanzo Astralabius (vincitore del torneo letterario “IoScrittore” 2012).
Per Parallelo45 Edizioni ha pubblicato il romanzo settecentesco Dietro la tenda (2019), precedentemente uscito in trilogia tra il 2016 e il 2017. Quest’opera è stata scritta a quattro mani con l’autore dublinese Rónán Ú. Ó Lorcáin.
Tra i numerosi riconoscimenti, si ricordano il primo premio assoluto al 56° Concorso Letterario Internazionale “San Domenichino – Città di Massa” con il romanzo La Sinfonia del Vento (Parallelo45 Edizioni 2017) e il primo premio sezione romanzo storico per il Premio Letterario “Bormio Contea” 2019 (narrativa inedita) con Quel che abisso tace (Parallelo45 Edizioni 2019), romanzo sulla vicenda dell’Arandora Star.

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