Nel mese di ottobre di tre anni fa, usciva per la nostra casa editrice un romanzo davvero singolare in cui viene narrata una vicenda di non si parla ancora abbastanza nonostante sia passato tanto tempo da allora.

Nell’intervista di oggi chiacchieriamo di LETTERE DAL CONFINE ORIENTALE con Maria Teresa Rossitto.

Come sono solita fare, Maria Teresa, inizierei a parlare del tuo libro partendo proprio dalla copertina e dal titolo, un connubio davvero molto ben riuscito. Com’è nata l’idea per entrambi gli elementi?

Il titolo del romanzo definisce quello che è il cuore della storia. Una donna nata prima dell’esodo da Pola viene adottata, ancora neonata, nell’estate del 1946 senza avere conosciuto i suoi veri genitori e a distanza di ben 50 anni trova, della madre, solo frammenti di lettere recuperati in maniera rocambolesca da una nuova proprietaria della casa dove aveva vissuto la madre e rispedite all’indirizzo del padre sloveno. Lettere mai inviate al padre che testimoniano la confusione e l’angoscia di una città in disarmo. Una situazione che appare inverosimile ma che in molte circostanze della vita, e ancor di più nei romanzi, si può avverare. Per cui, quando l’editore Fabrizio Filios mi ha proposto quella copertina mi è sembrata veramente appropriata.

La storia che decidi di narrare si svolge nel cuore dell’Emilia-Romagna alla fine degli anni Novanta. Cosa ti ha spinto a scegliere proprio questa regione per dare inizio a una narrazione che prende quasi immediatamente poi il volo verso la costa istriana?

Più che altro volevo trasferire un’immagine di un territorio, quello della campagna emiliana, inteso come un territorio di provincia carico di suggestioni legate alla laboriosità, alla coesione che si sviluppa in un territorio, al significato del cibo e al calore tra le persone. La storia parte da un luogo nel quale la famiglia adottiva di Nora si era trasferita, che non ha un collegamento con il passato della protagonista, anzi un luogo anonimo vicino all’autostrada nel quale ciò che è importante è dato da legami che non sono di tipo familiare, ma  quelli che si instaurano tra Nora e gli amici della locanda; il valore dell’amicizia che ripara e ricuce le ferite nascoste. Il profumo della campagna e il luogo dove si trova il ristorante è colmo di un’umanità che scalda in aperto contrasto con la storia delle radici di Nora.

Senza svelare troppo ai lettori, vorresti riassumere in pochissime parole la trama del romanzo?

Eleonora Furlan,  gestisce un piccolo ristorante che si chiama “L’Oasi” nella campagna  tra Bologna e Ferrara e scopre di doversi recare in Slovenia per l’apertura di un testamento. Un notaio sloveno l’ha nominata erede del suo patrimonio e la costringe ad intraprendere un viaggio verso Lubiana e poi verso Pola, per cercare di ricostruire la vita dei suoi genitori. La prima parte del romanzo è focalizzata su due aspetti: nel primo si individuano alcuni personaggi, sono amici  che diventano una sorta di famiglia per Nora tra cui Michele, Aurora, e altri personaggi un po’ naif  che hanno creato attorno a lei una sorta di rete protettiva. Ci sarà anche l’occasione per la nascita di una storia d’amore. La seconda parte  della storia è data dal viaggio che la donna inizia  per comprendere chi fossero i suoi genitori. Nella parte finale del romanzo c’è il tentativo di ricostruire il vero destino della madre, cosa può esserle accaduto veramente e in particolare, in un capitolo finale ho dedicato uno sguardo al destino di alcuni cittadini di Pola che non  sanno se lasciare o rimanere nella loro città dopo la cessione alla Jugoslavia.

Chi è Eleonora Furlan e chi sono i personaggi dei quali ella si circonda, tutti ugualmente profondi e ben caratterizzati? Ti chiedo in particolare di parlarci di Elena Finotti e Michele Brambati, figure centrali insieme all’intraprendente Nora.

Eleonora Furlan è vedova e gestisce  una locanda ai confini del paese di Bòndena, un luogo inventato. Una donna con un carattere forte, che ha avuto una vita molto difficile. All’interno della locanda ha creato un’atmosfera particolare, un curioso e stravagante matrimonio  tra cibo e aneddoti di vita, con i quali affascina i suoi clienti. È aiutata da un giovane chitarrista, Michele Brambati,  che la sostiene nella gestione del locale e che nutre per lei un sentimento che esploderà nel corso della narrazione. Elena Finotti è la madre naturale che Eleonora non ha mai conosciuto. Tornando a Lubiana per l’apertura del testamento del padre la locandiera scoprirà alcuni frammenti della vita della madre e le  vicissitudini che hanno preceduto la sua nascita. Le poche notizie le giungeranno dalle lettere di cui parlo nel titolo e attraverso il racconto della badante del padre. Una donna Elena, studentessa universitaria negli anni quaranta, che ha sempre cercato di salvaguardare le sue radici italiane. Innamorata di uno studente sloveno, e quindi  a priori senza alcuna forma di rifiuto verso altre etnie, ma costretta da un clima di odio a prendere una posizione.

A tal proposito, proprio in apertura al romanzo, decidi di inserire un Prologo la cui voce è quella di Anna Brambati, nipote di Michele. Si nasconde Maria Teresa dietro ad Anna, da dove viene la scelta di far parlare questa donna il cui compito è quello di narrare la storia di Nora?

No. Semplicemente mi piaceva l’idea che fosse una persona estranea a ritrovare il documento di Michele Brambati e a raccontare la storia nella sua complessità.

Il tema della tua narrazione si colloca forse fin troppo bene nella nostra contemporaneità. Quanto lavoro c’è dietro questo tuo romanzo?

Si potrebbe definire un lavoro stratificato nel tempo. Ci sono state delle letture che hanno creato una base, un pensiero preciso. Un saggio dello storico piemontese Gianni Oliva Foibe e un romanzo stupendo di Carlo Sgorlon, La Foiba grande. Ho pensato che molte storie di strappi, di privazioni sono nate e sviluppate in seguito agli esodi. Tutte quelle popolazioni che sono state costrette per motivi politici a lasciare la loro terra hanno lasciato dietro di loro mutilazioni che non sono ferite sanguinanti ma strappi nell’anima.

Quanto pensi che sia importante ricordare questi momenti della nostra storia? Quali sono state le tue sensazioni durante il periodo di stesura del romanzo?

Ricordare quanto è accaduto è importante per sapere quali possono essere gli effetti del totalitarismo sulla vita di ognuno di noi. Le dittature e le imposizioni che limitano la vita della persone e il loro pensiero, di qualunque colore siano, devono essere raccontate. La dignità soffocata si esprime raccontando non tacendo. Non ci dovrebbe essere una narrazione di un solo colore, anche perché le scelte fatte dai governi nazionali in seguito ai conflitti ricadono inevitabilmente sulle persone, sui loro progetti di vita. Le sensazioni mi sono giunte dai racconti degli esuli che si possono trovare nel web, perché tanti sono gli esuli che vivono nelle nostre città e non hanno dimenticato quanto è accaduto e il legame con il loro territorio.

Qual è la ragione che ti ha spinto a scegliere un tema tanto difficile?

Un’immagine in prima battuta. Vidi alcuni anni fa un documentario girato a Pola nel dopoguerra che esprimeva tutta la desolazione di quella popolazione che ha abbandonato le proprie case in seguito al trattato di Parigi, che aveva previsto appunto il passaggio di quella parte dell’Italia alla Iugoslavia. Ecco io ho visto negli occhi di quelle persone uno smarrimento che non avevo mai visto prima. Una popolazione che aveva subito prima gli effetti del nazismo e poi quelli della dittatura comunista. Non ho visto in quella gente quello che la politica ci vuole vedere, ma unicamente quello che è stato il dramma umano. Anche perché il confine orientale dell’Italia è sempre stato un crogiolo di razze: serbi croati sloveni ottomani e italiani  hanno attraversato periodi pacifici e periodi conflittuali, anche fomentati dalle politiche dei governi che hanno esacerbato le distanze tra le etnie.

Come recitato nel titolo del romanzo, l’oggetto che aiuterà Nora a ritrovare il proprio passato sono un plico di lettere lasciatele in eredità dal padre. Qual è stata l’ispirazione che ti ha fatto scegliere questo mezzo di comunicazione?

In questo caso ho ritenuto che le lettere ritrovate siano un elemento di suggestione forte quando si racconta una storia romanzata. Quando si riceve una lettera, che sia d’amore o d’amicizia la curiosità per quanto ci viene narrato è sempre molto forte. Nei romanzi accade la stessa cosa. Ora si è perso un po’ il rapporto con la scrittura manuale, il sentimento che emerge dalla calligrafia e il mondo che si nasconde tra le parole. È una forma di mistero sul sentimento, uno scoprire che trova nella storia romanzata un felice alleato.

Trattando si un pezzo di storia del Novecento, è d’obbligo domandarti che ruolo ricopre per te la Storia all’interno del nostro vivere quotidiano?

Premetto che non ho una formazione storica, direi giuridica più che altro. La Storia nel nostro vivere quotidiano può insegnarci a comprendere quanto siano prevalenti e duraturi gli effetti dei rivolgimenti storici sulla vita delle persone. Se un saggista e uno storico sa inquadrare con esattezza gli avvenimenti e offrire delle letture precise sulle scelte politiche, chi scrive romanzi deve tralasciare gli antagonismi, le scelte partitiche, per abbandonarsi invece completamente, a dare voce a coloro che vivono sulla loro pelle gli effetti delle dittature o dei soprusi. Non è detto che si tratti di perdite, di lutti , anche piccole storie, prevaricazioni, ironie e modalità di racconto differenti che però esprimano la ribellione del cittadino. La voce degli ultimi attraverso una storia di fantasia può anche mettere in ridicolo il potere, con la libertà di essere onesto e controcorrente. Purtroppo si tende ad attribuire colorazioni politiche alle narrazioni quando si ha paura di conoscere, di guardare in faccia la realtà che non sia quella della vulgata corrente.

Pola è uno dei centri nevralgici del tuo romanzo, che cosa accadde nell’estate 1946?

Durante tutto il corso del novecento il confine orientale del nostro paese fu oggetto di spartizioni e divisioni di territori come non avvenne in altre parti dell’Italia. Dal giugno del 1945 Trieste e l’Istria vennero divise in due zone A e B, la prima amministrata dagli alleati e comprendeva oltre a Pola, Trieste, Gorizia, Rovigno e Parenzo, la seconda il resto dell’Istria. Quando ci fu il referendum del giugno del 1946 e gli italiani scelsero la Repubblica, la Venezia Giulia con Gorizia, Trieste, Pola e Fiume, pur trovandosi sotto la sovranità italiana, non partecipò alla consultazione per le pressioni iugoslave sui governi alleati. Con il trattato di Pace del 1947 si impose la cessione di territori sui quali la sovranità dell’Italia era già stata riconosciuta prima dell’avvento del regime fascista. E quindi a giugno del 1946 già si sapeva che Pola sarebbe passata alla Jugoslavia, in quanto le grandi potenze che si riunirono erano favorevoli alla cosiddetta “linea francese” che assegnava Pola alla Jugoslavia. Agli inizi di luglio del 1946, cominciò la raccolta delle dichiarazioni dei cittadini che intendevano lasciare la città  e coinvolse tutte le classi sociali. Di questo evento ne ho parlato anche nel mio romanzo, soprattutto nella parte finale quando ho cercato di esprimere il senso di abbandono vissuto da Elena, la madre di Eleonora, che si sentiva italiana e le testimonianze dei vari cittadini di diversa estrazione sociale. Il trattato di pace ha comportato una capitis deminutio della sovranità nazionale, e questo è un nodo che fino in tempi recenti non è stato assimilato. Tutto ciò che ruota attorno a quel periodo storico ha comportato la rimozione del problema oltre a quanto accaduto nelle foibe. Dal punto di vista della popolazione multietnica presente in quei luoghi, si è trattato di convivere con il regime fascista prima, con la durezza del regime nazista al quale si è aggiunto il periodo dell’occupazione comunista che ha portato all’orrore degli infoibamenti.

«La mia storia [Eleonora Furlan] mi costringe a riflettere sul valore delle radici. Le radici sono i piedi e non possono essere ignorate, tagliate, dimenticate. Con le radici ben piantate puoi andare via, tornare, costruire ma appartieni a un luogo o a delle persone. E ritrovi conforto, luoghi familiari, calore». Che valore hanno per te le tue radici, specialmente in un momento storico come quello in cui stiamo vivendo?

Le radici sono i piedi. Sapere chi siamo e da dove veniamo è, e deve essere la nostra forza. Per affrontare le difficoltà del presente dobbiamo conoscere le nostre origini. Non è solamente la guerra che ci impedisce di essere liberi, anche dimenticare quello che siamo e da dove veniamo, o permettere che altri lo neghino. È un tesoro fatto di identità culturale, tradizioni, storia che non necessita di essere ricordato o enfatizzato ma ci appartiene sia come singoli che come popolo. La consapevolezza della nostra identità è un patrimonio da salvaguardare.

Per concludere questa nostra chiacchierata, come d’abitudine, ti domando se hai già qualche novità che bolle in pentola e che può essere rivelata.

C’è un’idea e ci sono delle ricerche ma non ancora un progetto vero e proprio, meglio non parlarne.

Per troppo tempo, per ragioni storiche e politiche, il silenzio ha privato gli istriani di un giusto giudizio. Per troppi anni sono stati considerati profughi fascisti che si dovevano vergognare di essere fuggiti dalla nascente Repubblica federale iugoslava, ultimo baluardo del confine del blocco sovietico.

[…]

A pochi il nome di Vergallora evocherà qualcosa, anche se fu una Immane tragedia nella quale molti polesani persero la vita. Per molti di noi, il ricordo che Trieste ritornò Italiana a due lustri dalla fine della guerra è un ricordo flebile, scolastico e forse retorico.

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Nata a Torino, laureata in giurisprudenza, oltre a gestire un proprio blog da 10 anni – mariateresarossitto.it –, Maria Teresa Rossitto è impiegata, giornalista e pubblicista.  Nel 2012 ha pubblicato un libro di racconti intitolato Vite Sospese sia in formato cartaceo che in ebook. Nel 2016 esce il suo primo romanzo, Schopenhauer 24, per le edizioni Arca  di Torino. Del 2019 è Il peso della colpa edito da Convivio editore. Nel 2021 esce Ultima chiamata da Buenos Aires in formato cartaceo e in ebook per Edizioni Yume Torino, un romanzo di inquadramento storico con personaggi di fantasia.

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